10 settembre 2009

era solo un vecchio.


Pietro Morza era un uomo vecchio. E’ fuori d’ogni dubbio che il suo sia stato un passato ricco di luce, scandito da sensazionali momenti di gloria intensa, da storie d’amore con le donne più belle del Paese. Quel giorno tuttavia, giorno del suo settantaseiesimo compleanno, Pietro Morza era stanco.
Tornando dal consueto passeggio mattutino, percorso adagio, come d’abitudine, con passi scanditi e ben posati, come se ad ognuno corrispondesse un pensiero da custodire come un prezioso gioiello, un momento da congelare ed imprimere nella sua memoria, Pietro Morza avvertì un sussulto dentro di sé, un’esigenza, il bisogno di quella verità che fino ad allora gli era apparsa pallida ed evanescente. Pietro Morza ebbe la forza di guardarsi dentro, e per la prima volta nella sua vita, senza obiettare, trovò finalmente quell’impulso che da tre decadi andava cercando invano.
Stanare la verità per poter vivere i suoi restanti anni nell’agognata armonia familiare.

Quegli anni in Lussemburgo l’avevano profondamente cambiato. Dopo il tragico incidente che coinvolse il povero Tommaso il Morza tornò in patria con la postura di un leone ferito nell’animo e tormentato dai reumatismi che col passare degli anni non perdonano nessuno.
Non era la vendetta che cercava Pietro Morza. Non era nemmeno giustizia. Solo la fine. La fine di una ricerca affievolitasi negli anni il cui impulso tuttavia mai si spense. L’esigenza di sovvertire attraverso quell’attimo, in quel giorno, il suo percorso.

Pietro Morza camminava oramai da più di tre ore, i suoi passi cadenzati lo avevano portato molto distante da casa. Udì una voce che sembrava venire da lontano: “ vecchio, sai almeno dove ti stai dirigendo?” . Il Morza stranamente non sembrava sorpreso. Anzi. Quella voce calda, quasi sospirata, sentita nel silenzio di un prato in un freddo mattino di Gennaio lo rincuorò.
“No” – rispose – “il mio è sicuramente un percorso segnato, ma le tracce si sono perdute ormai più di trent’anni fa.” “Mio figlio” – aggiunse – “mio figlio Tommaso”, un intenso sospiro. “ come può la vita di un padre valere quella di un figlio? Come si può pensare che un sacrificio valga la pena di essere commesso se poi si è incapaci di trarne del bene? Se nessun secondo che ci viene regalato viene vissuto senza lo spettro del rimorso?”

Pietro Morza si accucciò. Mise la testa tra le ginocchia e sorrise. “la tua vita è sempre stata al sicuro, cosi come quella della tua famiglia, mi devi credere” – disse la voce - .

Pietro Morza a quelle parole si sdraiò supino. Con un braccio perpendicolare al torace accarezzava quell’erba bagnata dalla rugiada mattutina. Pietro Morza si passò una mano tra i suoi fini capelli grigi e si sfiorò una guancia. La sentì fredda.

Uno stormo di uccelli volava in formazione ordinata.